lunedì 22 marzo 2010

L’uomo (4)

Che cos'è l'uomo che tu ne faccia tanto caso, che tu t'interessi a lui, (Giobbe 7:17)

Perché molti guardano in basso per ricercare la propria origine? Perché si cerca la propria origine nei terreni tra i fossili, se sappiamo (credenti o no) che siamo polvere e in polvere torneremo? Dio non lasciò l’uomo inerte sul terreno. Egli rese l’uomo un’esser vivente affinché fosse in grado di guardare in alto (anthropos) a Colui che lo creò: "Dio non è forse lassú nei cieli? Guarda lassú le stelle eccelse, come stanno in alto! (Giobbe 22:12). Addirittura la sera passeggiava con Adamo ed Eva nel giardino d'Eden. Magari passeggiasse con me, non avrei alcuna difficoltà ad accettare un creatore, penserà qualcuno. Come mai, oggi, non abbiamo più questo privilegio? Dio disse che: ….. nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai" (Genesi 2:17). La violazione dell’unico precetto di Dio introdusse la morte. Il peccato sconvolse l’intero essere umano creato perfetto dal Creatore. Il corpo iniziò a subire le malattie e il deterioramento, che irrimediabilmente produsse, e produce, la morte fisica. Nonostante ciò l’anima non perse l’immortalità poiché fortificata dallo spirito, eppure, il tutto non impedì l’avvento della morte, così come proferito dal Creatore: Dio il SIGNORE ordinò all'uomo: "Mangia pure da ogni albero del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai" (Genesi 2:16,17).
Sappiamo che la morte non colpì Adamo ed Eva nel giorno in cui mangiarono il frutto proibito (un particolare, la Bibbia non riporta che fosse una mela, vedi Genesi 3:6) e allora perché Dio disse che “nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai"? Che cosa avvenne in quel giorno dato che non morirono? Leggiamo cosa riporta il Genesi: Alla donna disse: "Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te". Ad Adamo disse: "Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dall'albero circa il quale io ti avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l'erba dei campi; mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai" (Genesi 3:16-19). Possiamo capire che la condanno del Creatore colpì soprattutto la parte fisica dell’uomo, che fu così condannata al deperimento e di conseguenza alla morte. Nonostante questa evidenza, le parole, che riguardano il precetto di Dio, non trovano ancora un riscontro, perché se il termine “morirai”, fu pronunciato con riferimento al corpo, dobbiamo costatare che il Creatore si contraddisse giacché non morirono in quel giorno. Tale particolare sembra quasi avvalorare le parole di Satana ("No, non morirete affatto;….”). Per svelare quest’apparente contraddizione dobbiamo continuare a leggere il terzo capitolo del Genesi: Poi Dio il SIGNORE disse: "Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell'albero della vita, ne mangi e viva per sempre". Perciò Dio il SIGNORE mandò via l'uomo dal giardino d'Eden, perché lavorasse la terra da cui era stato tratto. Cosí egli scacciò l'uomo e pose a oriente del giardino d'Eden i cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via dell'albero della vita (Genesi 3:22-24).
Oltre alla condanna di cui ai versi sedici, diciassette, diciotto e diciannove del citato capitolo, possiamo notare che l’uomo fu scacciato dal giardino d’Eden, luogo in cui egli viveva alla presenza di Dio. Ci fu una separazione tra l’uomo e Dio, e l’aspetto doloroso della morte è proprio la separazione che avviene tra il defunto e i viventi. La morte pone fine a quella comunione goduta con ogni persona a noi cara. Sembra che questa condizione rispecchi ciò che avvenne nel giorno della caduta di Adamo ed Eva. Infatti, essi non ebbero più occasione di passeggiare con Dio nel giardino d’Eden, cioè, luogo in cui godevano la presenza del proprio Creatore, pertanto, possiamo affermare che da questo punto di vista morirono. Il peccato ebbe delle conseguenze fisiche e soprattutto spirituali. Spirituali perché? Beh, l’uomo adoperò il corpo per soddisfare un istinto dell’anima. A questo punto qualcuno potrebbe replicare affermando che è stato il Creatore a dotare l’uomo di un’anima in cui hanno sede gli istinti, e quindi, se l’uomo peccò, fu colpa anche un po’ di Dio. Nulla di più errato, poiché dobbiamo considerare che il Creatore dotò l'uomo (a differenza delle bestie) di uno spirito che governava l’anima in cui gli istinti erano sempre sottomessi al volere dello spirito. La caduta dell’uomo fu soltanto determinata da una scelta, purtroppo, sbagliata. Questa scelta non fu condizionata dalle proprie caratteristiche fisiche e spirituali, perché egli era perfetto, perciò, non era un essere tendente al peccato. Per noi è difficile comprendere la natura perfetta di Adamo ed Eva, poiché abbiamo ereditato quella corrotta.
In effetti, che cosa avvenne nell’uomo in quel giorno? L’anima che pecca è quella che morirà, …. (Ezechiele 18:20), scrisse il profeta Ezechiele. Ma in che modo pecca l’anima? L’anima usa il corpo per agire in modo peccaminoso. Adamo ed Eva usarono il corpo per desiderare, prendere e mangiare il frutto proibito, ma fu l’anima ad animare il corpo che agì in quel modo, quindi, fu l’anima a peccare e il corpo, lo strumento per agire nella realtà (creato) di cui l’uomo faceva, e fa, parte. Lo spirito fu così sottomesso alla volontà dell’anima. Pertanto lo spirito, parte spirituale in cui si realizza la comunione con Dio, l’intelligenza e la coscienza, sono stati sottomessi all’Io dell’anima con i suoi istinti. Non è il corpo (o carne) che pecca ma l’anima. Cristo evidenziò quest’aspetto quando disse: "Voi avete udito che fu detto: Non commettere adulterio. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Matteo 5:28). Il cuore, raffigurato come la sede dei sentimenti nell’anima, è la parte in cui il peccato si realizza prima d’aver agito con il corpo, e pertanto, non farete di un ladro un uomo onesto se lo priverete della mano. Sono gli impulsi peccaminosi, cioè i pensieri frutto dell’animo, che fanno agire il corpo affinché raggiunga lo scopo dei desideri dell’anima. Eppure Cristo aggiunse alle suddette parole: Se dunque il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo. E se la tua mano destra ti fa cadere in peccato, tagliala e gettala via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo (Matteo 5:29,30). Perché? Beh, se non riusciamo a frenare gli impulsi peccaminosi, sarebbe meglio privarsi dello strumento che ci fa cadere nel peccato. Però, ciò non è certamente un incitamento all’automutilazione, ma è semplicemente un’illustrazione profonda a separarci da tutto quello che ci fa cadere nel peccato. Infatti, l’occhio, nel citato verso, rappresenta (com’era uso tra gli ebrei) semplicemente la concupiscenza che nasce e si rafforza attraverso l’occhio, di conseguenza è la concupiscenza che deve essere estirpata dall’animo umano, e non l’occhio. Questo pensiero Cristo lo espose esplicitamente nel quindicesimo capitolo del Vangelo secondo Matteo: Ma ciò che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è quello che contamina l'uomo. Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni (Matteo 15:18,19). L’impotenza dello spirito, a seguito di quella lotta tra ciò che l’Io richiede e il volere dello spirito (non si tratta di una lotta tra il bene e il male, cioè, l’anima non rappresenta il male e lo spirito, il bene), è considerata come uno stato di morte. L’anima macchiata e indebolita dal peccato si piega e curva, coinvolgendo e deprimendo lo spirito, producendo appunto uno stato di morte spirituale, ossia, a seguito di questa separazione lo spirito non riesce più a instaurare quella comunione con Dio, di cui godevano i nostri progenitori.
Il concetto di morte spirituale è comprensibile per esempio da questi passi: siete stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti (Colossesi 2:12) - ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesú, (Efesini 2:6) - Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassú dove Cristo è seduto alla destra di Dio (Colossesi 3:1).
Se, dunque, i credenti sono stati risuscitati, significa che quest’evento è o fu preceduto da uno stato di morte, pensiero confermato dai versi precedenti o seguenti dei citati capitoli: Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, (Efesini 2:1) - Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati; (Colossesi 2:13). Ecco finalmente la risposta allo stato di morte in cui caddero Adamo ed Eva. Essi godevano di una condizione d’equilibrio tra anima e spirito, in cui lo spirito governava l’anima che si esprimeva attraverso il corpo. Questa perfezione venne meno nel momento in cui scelsero di disubbidire all’unico precetto di Dio. Dobbiamo precisare che gli istinti (di conservazione, di possesso, della nutrizione, della riproduzione, di conquista) non gli furono donati come degli impulsi cui non potevano resistere, ma la disubbidienza e, quindi, il peccato indebolirono quel dominio dello spirito sull’anima.
Se la parte spirituale dell’uomo versa in uno stato di morte, dobbiamo costatare che essa rimarrà inavvertibile finché il Creatore non aliterà nuovamente la vita in quell’uomo. Ma se l’uomo è fisicamente vivo, significa che in lui c’è un’anima fortificata dallo spirito, pertanto di morto non c’è nulla, potrebbe pensare qualcuno. D’accordo, ma se la parte spirituale non è più in grado di governare gli impulsi dell’anima e, quindi, le azioni del corpo, dobbiamo ammetter che quella parte è morta. Ciò non significa che queste persone non siano in grado di fare del bene, no, semplicemente non riescono a riconoscere il proprio stato. Il tutto si limita a un’esistenza in cui Dio (se si tratta di una persona religiosa) è considerato un essere lontano e disinteressato. L’incapacità d’instaurare un rapporto reale con Dio è causata, pertanto, dall’assenza di vita nella parte spirituale dell’uomo. L’anima indebolita dal peccato entra in un circolo vizioso che deprime lo spirito lasciandolo inattivo. Così l’elemento che Dio aveva donato per restare in comunione con Lui è stato sottomesso dall’anima peccatrice, e che di conseguenza ha separato l’uomo dal Creatore, non permettendogli di guardare all’insù, ma verso il basso perché piegato dal peccato. In questo stato l’uomo è molto più simile alle bestie perché governato dagli istinti come gli animali, anche se l’uomo avendo una "vitalità" superiore a quelle delle bestie, poiché dotato di uno spirito, riesce a compiere delle azioni molto più orrende rispetto a quelle di un animale. Infatti, le bestie uccidono altri esseri viventi per soddisfare l’istinto di nutrimento o di riproduzione, mentre l’uomo uccide per rabbia o altri motivi non attribuibili all’istinto. Forse per questo Giovanni Diodati tradusse nel seguente verso il termine “uomo naturale” con “uomo animale”, affinché il lettore riconosca lo stato in cui cade l’uomo privato della comunione con Dio: Or l'uomo animale non comprende le cose dello Spirito di Dio, perciocchè gli sono pazzia, e non [le] può conoscere; perchè si giudicano spiritualmente (I Corinzi 2:14). Inoltre questo verso ci illustra benissimo che le persone naturali (spiritualmente morti) non riescono a comprendere le realtà che riguardano le cose spirituali.
Comprendiamo di conseguenza che l’uomo cerca le proprie origini nel basso della terra perché l’elemento spirituale è incapace, e, quindi, inoperoso per realizzare la comunione con Colui che abita i luoghi celesti. Sembra quasi che il corpo pur essendo animato rimanga inerte sul suolo della terra. L’incapacità di rimanere nella posizione eretta, guardando all’insù, costringe l’uomo inconsapevolmente a ricercare le proprie origini nella polvere della terra da cui fu tratto. E in questo può anche scoprire tutta la sua natura terrena, acquisendo addirittura delle conoscenze fino a pochi anni fa impensabili, che comunque non chiariscono l’unicità delle caratteristiche del genere umano. Finché l’uomo continuerà a cercare le proprie origini nel basso della terra, non riuscirà a trovare un riscontro esaustivo. Si ottiene una risposta soltanto guardando in alto, e la scienza omette, nella sua ricerca, questa capacità fisica e sopratutto intellettuale dell’uomo, riscontrabile oltretutto unicamente nel genere umano. Auspico sia chiaro che l’uomo guarda in basso perché la sua trina natura fu deturpata dal peccato. Questo è appunto il motivo per cui molti non percepiscono la propria realtà spirituale. Più ci allontaniamo da Dio, più l’immagine di Dio in noi andrà scemando, poiché unici esseri che possediamo una personalità con una morale, una ragione e che riescono a dominare sulle altre creature, da cui differiamo soprattutto perché permeati da un’anima resa immortale da uno spirito, unico elemento in grado di relazionarsi con Dio.
Alla fine di questo quarto post possiamo aggiungere alle risposte precedenti, riguardo al quesito contenuto nel verso in epigrafe, che l’uomo è un esser trino creato per guardare in alto, il quale differisce da tutte le altre creature soprattutto per la sua spiritualità, essenza che purtroppo è stata deturpata dal peccato. Ma il Creatore non ha voluto lasciarci nel descritto stato, e ha iniziato una nuova opera creativa. Continueremo tra qualche giorno.

giovedì 11 marzo 2010

L’uomo (3)

Che cos'è l'uomo che tu ne faccia tanto caso, che tu t'interessi a lui, (Giobbe 7:17)

Eravamo rimasti all’Io, l’Io è quella consapevolezza che l’uomo ha di sé. Forse sarebbe più corretto parlare di coscienza, poiché con tale termine s’include anche la consapevolezza dell’ambiente circostante e la possibilità d’interazione con esso. A questo punto molti tenteranno d’accostare questa realtà alla vita animale, e l’antropologia insiste molto su quest’aspetto per avvalorare l’evoluzione biologica della specie umana. Abbiamo visto che Dio non ha dotato l’uomo solamente del corpo e dell’anima ma anche di uno spirito, quest’elemento ci distingue da tutte gli altri esseri viventi. Giobbe affermò che: Ma quel che rende intelligente l'uomo è lo spirito, è il soffio dell'Onnipotente (Giobbe 32:8). E che cosa intende la Bibbia con intelligenza? Forse quella capacità mentale d’apprendimento e comprensione? Salomone affermò: Il principio della saggezza è il timore del SIGNORE, e conoscere il Santo è l'intelligenza (Proverbi 9:10).
L’uomo può conoscere Dio soltanto perché possiede qualcosa che gli animali non hanno, ossia lo spirito. Ciò che permette all’uomo di conoscere Dio è lo spirito fonte dell’intelligenza. Mentre la facoltà di ragionamento associata all’intelligenza, ossia, quella capacità d’apprendimento e comprensione, ci permettono d’acquisire, attraverso la parola di Dio, l’intelligenza di cui al decimo verso del nono capitolo dei Proverbi. Tute queste attività avvengono nel cervello sede di ogni pensiero e, quindi, ragionamento. Questo significa che un defunto, privato dell’attività di quest’organo, non ragiona più e di conseguenza è incosciente? No, Cristo insegnò chiaramente che dopo la morte si vive in uno stato di coscienza in attesa della risurrezione del corpo: Gesú gli disse: "Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso" (Luca 23:43) - E nell'Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo, e Lazzaro nel suo seno; ed esclamò: Padre Abraamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell'acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma (Luca 16:23,24). Comprendiamo che la nostra coscienza sopravvive alla morte, anche se il cervello andrà in decomposizione, poiché Dio rese l’anima immortale per mezzo dello spirito. Davide vivendo con questa certezza disse: Quanto a me, per la mia giustizia, contemplerò il tuo volto; mi sazierò, al mio risveglio, della tua presenza (Salmo 17:15).
Il cervello è l’organo fisico che fa da recettore tra mondo materiale e l’elemento spirituale da cui l’uomo è animato. Egli percepisce la realtà in cui vive attraverso gli organi sensitivi (vista, udito, gusto, olfatto, tatto) che trasmettono le informazioni alla parte spirituale (anima). L’antropologia afferma invece che la sede dei nostri pensieri è il cervello e non l’anima o lo spirito. I pensieri sono tuttavia una prova “tangibile” di una parte spirituale. Perché? Beh, provate a chiedere a qualche psichiatra o neurologo in che modo nasce un pensiero, e chiedetegli di crearne uno così come avviene nella mente umana. È un dato di fatto che il pensiero, qualcosa d’immateriale, nasce in un organo fisico, quindi, materiale. Noi siamo in grado di definire le varie parti del cervello attive in determinate circostanze, ma non possiamo osservare un pensiero, ossia, leggere la mente. Il pensiero è immateriale, anche se conosciamo la zona in cui esso si muove. Pure gli animali hanno una vita cosciente, e questo dimostra che abbiamo un’origine comune tracciata dall’evoluzionismo, potrebbe replicare qualcuno.
Approfondiamo un po’ quest’aspetto, ricorrendo a una recente ricerca di Lori Marino dell’università Emory di Atlanta (USA). Nei delfini (tursiops truncatus) è stata misurata la materia grigia, riscontrando che hanno una massa leggermente inferiore a quella dell’uomo, ma siccome il cervello di questi animali possiede una piegatura maggiore rispetto all’uomo, si è giunti alla conclusione che la minore massa potrebbe essere compensata da questa caratterista, perché una maggior piegatura del cervello crea una superficie più grande dell’organo. La piegatura concernerebbe sopratutta il neocortex (parte della corteccia celebrale) che è coinvolto nelle più alte funzioni del cervello come il pensiero cosciente. Nessuna specie al mondo presenta una piegatura del cervello come quella dei delfini, e anche il rapporto tra peso corporeo e quello celebrale è simile all’uomo. Addirittura il professor Thomas White sostiene che i delfini possiedono tutte le caratteristiche mentali per ricevere la definizione d’individui. Come tali, mostrerebbero delle sensazioni negative e positive come emozioni e autocoscienza, inoltre, sarebbero in grado di controllare il proprio comportamento, riconoscersi allo specchio, mostrare in modo perdurante sofferenza fisica e dell’animo, e risolvere compiti complessi. Tutte queste caratteristiche spingerebbero alcuni esperti d’etica a conferire ai delfini i medesimi diritti dell’uomo.
Eppure sessanta milioni d’anni d’evoluzione non hanno prodotto uno sviluppo culturale. I delfini continuano a fare tutto come migliaia d’anni fa. Non hanno ideato ristoranti gourmet in cui assaporano magari un cocktail di gamberi o del sushi, né hanno inventato delle armi per eliminare il principale predatore dopo l’uomo, cioè, l’orca, ma soprattutto i delfini non mostrano alcun sentimento riguardo al divino. Perché? È semplice, gli animali per quanto intelligenti possano essere, e i delfini lo dimostrano, ricercano semplicemente l’appagamento dei propri istinti, e, pertanto, non vedrete mai un delfino cacciare le prede con delle reti, poiché le sue capacità fisiche e mentali sono più che sufficienti per appagare l’istinto di nutrizione. In un delfino non riscontrerete la ricerca del divino, né di una morale pur avendo un percorso evolutivo di milioni d’anni, poiché gli animali non hanno uno spirito. In loro non si realizza la comunione con Dio, né la coscienza e, quindi, sensi di colpa. Ma quale coscienza? Quella che è frutto della comprensione della legge di Dio. Non esiste animale che possa comprendere e relazionarsi con Dio, perché la coscienza e la comunione con Dio si realizzano soltanto nello spirito. Per questo non potremo mai osservare un animale che manifesterà un sentimento nei confronti del divino. Tutte le attività spirituali o mentali si sviluppano e manifestano mediante i pensieri. Ebbene, esiste un pensiero che ognuno di noi ha almeno una volta dovuto affrontare: Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo: egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero dell'eternità, sebbene l'uomo non possa comprendere dal principio alla fine l'opera che Dio ha fatta (Ecclesiaste 3:11). Dobbiamo esser sinceri con noi stessi, ci siamo chiesti tutti almeno una volta che cosa accadrà dopo la morte. Pensate che un delfino s’interroghi cosa riservi la morte? Non credo, e non perché sono un credente, ma semplicemente per il fatto che nessun animale ha mai mostrato con il proprio “linguaggio” simili perplessità. Il pensiero dell’eternità, è qualcosa d’esclusivo riservato all’uomo perché dotato di uno spirito che dona l’immortalità all’anima.
Se possiamo osservare molte analogie biologiche e comportamentali tra uomo e animale, dobbiamo riconoscere una differenza abissale nella psiche. Quella umana non persegue soltanto i propri istinti, perché l’animo umano è animato dallo spirito. Infatti, le bestie non costruiscono degli strumenti per uccidere i propri simili, né osserviamo una determinata specie perpetrare delle truffe o organizzare degli inganni con metodi menzogneri, e nemmeno, se pur intelligenti come i delfini, abbiamo assistito a un progresso tecnologico. Questo poiché le bestie sono governate dall’istinto, mentre l’uomo avendo uno spirito può relazionarsi con Dio, elemento che gli permette di realizzare una coscienza frutto della comprensione di una legge che le bestie non sono in grado di capire. L’anima priva di uno spirito non sopravvive alla morte, e tale mancanza porrà fine all’esistenza di ogni animale.
Ma dove risiede l’anima? Le scritture attribuiscono sentimenti al cuore, viscere o reni. Questo significa che l’anima permea ogni parte del corpo? Essendo l’anima descritta come il principio vitale, se pur la fonte della vita risiede nello spirito, possiamo immaginare che ogni parte del corpo ne sia compenetrata, così come riportato in Geremia 4:19 o Habacuc 3:16, ma questo lascerebbe pensare che alla perdita di qualche parte del corpo andrebbe staccato anche un pezzo dell’anima. Non credo che sia così, ciò mostra soltanto gli effetti che l’anima ha sul corpo, a seguito degli impulsi sensoriali ricevuti dall’esterno. Tuttavia dobbiamo ammettere che ogni parte del nostro corpo privato del sangue andrà in necrosi e, quindi, morrà. È per questo motivo che si colloca l’anima nel sangue. Nelle bestie l’anima è la fonte della vita, comprendiamo che il versamento del sangue (fluido vitale) comporta l’estinzione della vita, cioè, la morte, e oltre al corpo si estinguerà anche l’anima dell’animale. Il versamento del sangue umano comporta pure la morte, ma non l’estinzione della vita cosciente (spirituale), di conseguenza è evidente che una trasfusione di sangue non trasferisce l’anima da un corpo all’altro. Desidero, dunque, invitare chiunque a manifestare un atto d’amore nei confronti del prossimo contribuendo alla donazione del sangue e degli organi. Coloro che rifiutano, per motivi religiosi, la donazione degli organi, riducono la parte spirituale dell’uomo a qualcosa di materiale, idea nettamente in contrasto con le Scritture, conformandosi inconsciamente con il pensiero ateista.
Tornando al quesito, è chiaro che dove risiede l’anima si trova pure lo spirito, giacché si permeano a vicenda. La Bibbia non risponde in merito a, dove dimora l’anima nel corpo. Se è difficile tracciare i confini tra anima e spirito figuriamoci identificare quelli tra corpo e gli elementi spirituali. Però, è interessante notare che nell’ormai più volte citato settimo verso del secondo capitolo del Genesi, abbiamo un particolare molto indicativo. Dio soffiò nelle narici l’alito vitale, ebbene seguendo il percorso neurologico (perché conduttore degli impulsi elettrici e, quindi, dell’energia) dell’olfatto vedremo che, dai bastoncelli olfattivi si arriva tramite i nervi ai bulbi olfattivi da cui si giunge direttamente all’ipotalamo e sistema limbico, sede del sistema nervoso autonomo. Nel medesimo istante i polmoni, essendo vuoti e collassati, ricevettero l’alito del Creatore che donò all’uomo il primo respiro. Sembra quasi che l’uomo accolse, dalle narici la parte spirituale che attivò le funzioni vitali, e dai polmoni l’aria necessaria per iniziare a respirare. Pertanto, se volessimo collocare lo spirito in qualche parte del corpo, penso che (è un parere personale) non ci sia posto migliore dell’ipotalamo e/o sistema limbico, dato che è la sede di tutti quei meccanismi vitali omeostatici.
Il cervello lungi dall’esser compreso totalmente ci riserva tante incognite, purtroppo il peccato ha introdotto la malattia è questa non ha certamente risparmiato l’organo più complesso del nostro corpo. Il deficit mentale non è altro che un’interruzione tra volere dell’anima e azione del corpo. In sostanza il corpo non riesce a esprimere ciò che l’anima vuole trasmettere, e così che assistiamo alle varie forme di malattie mentali. Quanta autocoscienza abbiano queste persone non possiamo definirlo se non nei limiti della neurologia e psichiatria.
Alla fine di questo post che cosa possiamo aggiungere al quesito di Giobbe (“che cos'è l'uomo ….”)? L’uomo è semplicemente "l'anthropos", nel vero senso del termine greco, ossia, “colui che guarda su”. L’uomo guarda su perché è una creatura dell’Altissimo. L’uomo è l’essere che guarda a Colui il quale gli ha donato uno spirito, rendendo, a differenza delle bestie, l’anima immortale. L’uomo è l’unico essere in cui risiede il pensiero dell’eternità. L'uomo è l'unico essere che si è sviluppato culturalmente, e in grado di progresso. L’uomo è l’unico essere che guarda su perché fu creato per dimorare con Colui che lo guarda da lassù. L’uomo fu creato per ammirare il cielo, perché la sua origine è un triplice atto creativo di Dio, ma allora perché molti guardano in basso per ricercare la propria origine? Cercherò di rispondere nel prossimo post.