Lasci l'empio la sua
via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; si converta egli al SIGNORE che avrà pietà
di lui, al nostro Dio che non si stanca di perdonare (Isaia 55:7). - Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i
vostri peccati siano cancellati (Atti 3:19).
Sono trascorsi diversi mesi dall’ultima pubblicazione. Eppure
sono grato a Dio che mi abbia aiutato a scrivere anche questo novantanovesimo post.
Desidero ringraziarLo per l’aiuto concessomi in questi anni tra svariate difficoltà.
Esprimo riconoscenza anche a tutti quelli che hanno apprezzato questo spazio.
Purtroppo,
le cronache che i media ci riportano non sono certo incoraggianti: sparatorie,
naufragi, violenze sui minori e di genere, guerre, soprusi, abusi, ricatti,
omicidi, truffe o inganni, il tutto permeato da molta apatia mascherata nell’ipocrisia
generale. Non so voi, ma costatando il tutto mi viene in mente uno dei
rimproveri del profeta Isaia: Guai a
quelli che chiamano bene il male, e male il bene, che cambiano le tenebre in
luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro! (Isaia
5:20). Sembra che la morale, i valori e l’amore siano stati buttati in un frullatore.
Nella società prevale e “governa” l’opinione pubblica. Assistiamo a un’escalation
di malvagità la quale va oltre a quel che il pensiero comune identifica con
tale termine.
Purtroppo ad acuire questo stato di cose è l’uomo stesso dato che
è difficile trovare persone pronte a mettere in discussione le proprie opinioni,
perché? Forse perché la società ha perso un modello con cui confrontarsi. Chi
esclude Dio disconosce di conseguenza la Sua parola, e ciò non può che condurre
alla barbarie. Le parole d’Isaia non fanno altro che riecheggiare nella mia
mente quando leggo un giornale o guardo un TG. Sembra che l’uomo abbia perso la
capacità di giudizio e di discernimento. La tanto odiata parola “peccato” pare
che sia stata cancellata dalle coscienze degli uomini, tuttavia la società dimentica
che essa rappresenta ciò che Dio odia: nessuno
trami in cuor suo alcun male contro il suo prossimo; non amate il falso
giuramento; perché tutte queste cose io le odio", dice il SIGNORE» (Zaccaria
8:17). Tutto il male in cui è immerso l’uomo non può certo condurre la società a
un progresso, nonostante molti siano convinti che la libertà da ogni regola
morale sia la soluzione ai problemi dell’umanità. Il sano principio alla
prosperità risiede in un verso biblico che offre la soluzione al benessere
interiore (spirituale) dell’uomo: Chi
copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà
misericordia (Proverbi 28:13). Nel nuovo testamento il concetto di questo
verso prende il nome di “ravvedimento”. Ma che cosa s’intende con tale
vocabolo? Il significato che un dizionario attribuisce alla parola “ravvedimento”
è quel “riconoscimento, a parole e nei fatti, dei propri errori”. Chi è
disposto oggi a riconoscere i propri sbagli? Nessuno, penseranno in molti. Desidero,
però, porvi un successivo quesito? Sei disposto oggi ad ammettere i tuoi
errori? A questo punto penso che nella mente inizieranno ad affollarsi
tantissime condizioni all’esito della nostra risposta, cioè il “ni” (né sì né
no).
Il periodo storico in cui il Figlio di Dio s’incarnò, non fu
certo un tempo nel quale la società viveva in armonia e vicino a Dio. Il
paganesimo regna ovunque e il popolo eletto non testimoniava dell’opera compiuta
da Dio. La condizione religiosa degli Ebrei di quel tempo assomiglia molto
all’attuale situazione spirituale di molte confessioni cristiane. Forse sarebbe
più coretto affermare che ci sono molti cristiani che rassomigliano alle due
classi religiose (maggiori) ebraiche dell’epoca, cioè i farisei e sadducei. I farisei,
più numerosi dei secondi, anteponevano al posto della Parola di Dio la loro
tradizione teologica e le cerimonie. Mentre i sadducei erano appassionati di
cultura pagana interessandosi più alla politica che alla religione, non
credevano negli angeli e né nella risurrezione. Fu in quell’epoca che la Parola
s’incarnò, ma il ministero di Cristo fu preceduto e introdotto da quello di Giovanni
Battista. Che cosa predicava il Battista ai propri connazionali? Vediamo
(Matteo 3:1-2): In quei giorni venne
Giovanni il battista, che predicava nel deserto della Giudea, e diceva:
«Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino». Possiamo rinvenire il
medesimo invito nelle parole di San Pietro quando si recò nel tempio: Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i
vostri peccati siano cancellati (Atti 3:19). L’apostolo Pietro invitava
coloro che si trovavano nel tempio, inclusi farisei e sadducei, a ravvedersi.
Eppure essi erano rigidi osservatori della legge e sicuramente anche la gente
comune del popolo che si recava al tempio. E allora perché invitargli al
ravvedimento? Per lo stesso motivo per cui oggi Cristo invita al ravvedimento
attraverso la Sua parola. Le chiese oggi sono piene di credenti che si sento
giusti dinanzi agli occhi del Creatore. Le loro coscienze sono assuefatte dalla
vita che conducono nel rispetto di ciò che la Scrittura prescrive. Ciò li rende
giusti? Sicuramente per quel che possiamo vedere, sembra che non ci sia nulla
di peccaminoso, ma la Scrittura ci rivela che “ ... l'uomo guarda all'apparenza, ma il SIGNORE guarda al cuore» ” (I Samuele 16:17 b). Il giudizio di Dio arriva
sin nei segreti della mente, dove magari pensiamo che nessuno riesca a
penetrare: Infatti la parola di Dio è
vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e
penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla;
essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore (Ebrei 4:12). Beh, non è
difficile capire che Dio giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. Spero a
questo punto che qualcuno inizi a sentire qualche rimorso, o non siete ancora
convinti? Ma io vi dico che chiunque
guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo
cuore (Matteo 5:28). Comprendiamo da questo verso che Cristo considera
adulterio anche quel che avviene nella mente. Figuriamoci che cosa riesce a
fare la mente se inizia a utilizzare un piccolo membro come la lingua. San
Giacomo disse che “... la lingua, nessun
uomo la può domare; è un male continuo, è piena di veleno mortale” (Giacomo
3:8). Magari qualcuno penserà che egli non abbia offeso mai nessuno, ma per
ferire non è necessario riempirlo d’ingiurie, perché l’apostolo Pietro ci
invita a sbarazzarci “.... di ogni
cattiveria, di ogni frode, dell'ipocrisia, delle invidie e di ogni maldicenza,
“ (I Pietro 2:1). La maldicenza nasce nella mente e si propaga attraverso la
lingua. Purtroppo nella chiesa la maldicenza è divenuta una piaga molto
profonda. Essa causa divisioni, collere e rancori che influiscono nel nostro
rapporto con Dio. E’ triste assistere come una chiesa possa essere demolita da
questo peccato. Forse all’apparenza sembra che tutto sia sereno, ma spesso le
parole dette in segreto nascondono delle cattiverie nei confronti d’altri
credenti. Non illudiamoci che la persona oggetto della maldicenza tanto non lo saprà,
perché per l’Onnisciente nulla può restare nel segreto, quindi stiamo attenti a
ciò che esce dalla nostra bocca: Chi
sorveglia la sua bocca e la sua lingua preserva se stesso dall'angoscia (Proverbi
21:23). Torniamo ora al citato verso dell’epistola di Pietro che elenca altri
due sentimenti i quali affliggono la chiesa di oggi, ossia l’ipocrisia e
l’invidia. Con il vocabolo invidia un dizionario intende un “sentimento di
rancore e astio per la fortuna, felicità o le qualità altrui”. Nel leggere la
definizione possiamo comprendere immediatamente che questo sentimento non
dovrebbe trovare posto in un credente, egli dovrebbe ricordarsi del decalogo: Non concupire la casa del tuo prossimo; non
desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il
suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo» (Esodo 20:17).
Non è difficile riscontrare l’invidia tra credenti, per dei doni materiali o
spirituali che il Signore ha elargito nei confronti di un altro credente. Un
vero cristiano dovrebbe provare gioia quando qualcuno riceve qualcosa dal
nostro Dio. Tuttavia assistiamo spesso all’opposto, e quasi sempre questo
sentimento rimane confinato nell’intimo, nascosto da chiunque, ma non al Creatore:
Dio, forse, non l'avrebbe scoperto?
Infatti, egli conosce i pensieri più nascosti (Salmo 44:21). Non
illudiamoci Dio è onnisciente e nulla può rimanere occultato dalla nostra
mente, nemmeno quel pensiero che usiamo per placare la coscienza che ci invita
al ravvedimento. Eppure molti credenti vivono nell’ipocrisi, nonostante l’apostolo
Pietro inviti a fuggire questo sentimento, e quindi all’apparenza essi possono
risultare dei credenti molto pii. Purtroppo sono tanti i credenti che vivono la
propria vita nell’ipocrisia. Vedere credenti impegnati nelle attività della
chiesa, sempre puntuali e presenti a ogni culto è incoraggiante, ma è veramente
sconfortante notare che nelle chiese queste stesse persone coltivino i suddetti
sentimenti, creando nell’assemblea delle correnti o gruppi che si sentono più
spirituali d'altri credenti, e ciò non fa altro che creare una divisione
all’interno di una chiesa la quale, nonostante si riunisca nello stesso locale,
rimane vittima di una divisione spirituale. Il tutto per dei credenti che con
la loro precisione annullano la Parola: Infatti
così parla Colui che è l'Alto, l'eccelso, che abita l'eternità, e che si chiama
il Santo. «Io dimoro nel luogo eccelso e santo, ma sto vicino a chi è oppresso
e umile di spirito per ravvivare lo spirito degli umili, per ravvivare il cuore
degli oppressi (Isaia 57:15). É giusto essere precisi nelle attività
ecclesiali, ma se il tutto si limata all’apparenza perché spinto da uno spirito
ambizioso governato dall’orgoglio, si annulla la Parola, in quanto abbiamo
letto che l’Altissimo è “vicino a chi è
oppresso e umile di spirito”. Avendo talvolta osservato simili situazioni
mi sono chiesto se le persone che criticano un credente per la sua imprecisione
siano onniscienti come il Creatore. É chiaro che se vedo un credente anteporre
al culto domenicale un’altra attività, non posso farmi una buona idea di ciò,
anche se non conosco i veri motivi per cui egli abbia agito in tale modo. Forse
sarebbe utile parlare con quella persona invece di sparlare. Purtroppo il tutto
nasce da una condizione ben visibile nella società italiana e che risiede nella
mancanza d’umiltà. Personalmente ho faticato molto in Italia per abituarmi a
questo modo d’agire e pensare. È triste, scoraggiante e scandaloso assistere
che questo sentimento sia riuscito ad attecchire nella chiesa. La mancanza
d’umiltà non dovrebbe essere presente in un credente perché Cristo “... umiliò se stesso, facendosi ubbidiente
fino alla morte, e alla morte di croce” (Filippesi 2:8). Chi possiede la “mente di Cristo” non dovrebbe lasciare
spazio all’orgoglio, affinché “tutti
giungiamo all'unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo
stato di uomini fatti, all'altezza della statura perfetta di Cristo;”
(Efesini 4:13). Forse c’è qualcuno che si culla nell’incarico che ricopre
all’interno di una chiesa, sentendosi più spirituale o giusto di un semplice
credente. Ci sono molti responsabili di chiesa che si cullano in tale pensiero,
o ancor peggio si giustificano in virtù della carica che ricoprono. Inoltre,
nelle varie denominazioni soffia un’aria d’ambizione, per raggiungere
determinate cariche ecclesiali, che mi lascia sbigottito e sconcertato, perché
motivato soltanto a scopo di lucro, piaga presente anche in epoca apostolica: pascete il gregge di Dio che è tra di voi,
sorvegliandolo, non per obbligo, ma volenterosamente secondo Dio; non per vile guadagno,
ma di buon animo; (I Pietro 5:2). Oggi, però, quest’ambizione non conosce
freni e il tutto avviene in modo sfacciato. Non voglio entrare nei particolari
e citare dei casi, ma rammentare semplicemente un passo biblico molto citato: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore!
entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei
cieli. Molti mi diranno in quel giorno: "Signore, Signore, non abbiamo noi
profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demòni e fatto in nome tuo
molte opere potenti?" Allora dichiarerò loro: "Io non vi ho mai
conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!" (Matteo 7:21-25). Osservando
l’ambiente religioso sembra che questo passo non esista nella Scrittura. Che
parole dure rivolte a delle persone che saranno convinte d’aver meritato il
cielo in virtù delle opere compiute in vita, e non sto facendo distinzioni religiose,
come qualcuno potrebbe pensare. Ci sarebbero ancora tanti argomenti da
affrontare. Spero abbiate compreso che l’ipocrisia è un vestito il quale
nasconde bene l’orgoglio, l’invidia e altri sentimenti che andranno comunque e
sopratutto a influire nella nostra vita spirituale e comunitaria, non
dimenticando che questi peccati, se non riconosciuti, influiranno sulla nostra
condizione eterna. Quindi non giustifichiamoci affermando nel nostro cuore che
tanto siamo figli della promessa, soffocando così ogni impulso di ravvedimento.
Ricordiamoci le parole del Battista: Fate
dunque dei frutti degni del ravvedimento, e non cominciate a dire in voi
stessi: "Noi abbiamo Abraamo per padre!" Perché vi dico che Dio può
da queste pietre far sorgere dei figli ad Abraamo (Luca 3:8). Quest’ultimo
verso non fa altro che introdurmi nel successivo punto del post.
Abramo, Mosè, legge e tradizione, ciò rappresenta in grandi
linee la rivelazione divina data agli Ebrei. Che cosa c’entra con i cristiani?
Beh, sappiamo che la religione cristiana più rappresentativa nel mondo sostiene
(non fonda) la propria fede attraverso la tradizione. Naturalmente non sono
nemici, come molti sono convinti ma amici. Personalmente ho diversi amici
cattolici ma questo non mi esime dal rammentare delle verità contenute nella
Scrittura. Non è la mia denominazione o altra a negare l’autorità della
tradizione cattolica, ma la Bibbia. Cristo nel Suo ministero mise in luce che la
tradizione può essere in contrapposizione a ciò che le Scritture prescrivono: «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la
tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo».
Ma egli rispose loro: «E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio a
motivo della vostra tradizione? Dio, infatti, ha detto: "Onora tuo padre e
tua madre"; e: "Chi maledice padre o madre sia punito con la
morte". Voi, invece, dite: "Se uno dice a suo padre o a sua madre:
'Quello con cui potrei assisterti è dato in offerta a Dio', egli non è più
obbligato a onorare suo padre o sua madre". Così avete annullato la parola
di Dio a motivo della vostra tradizione (Matteo 15:2-6). Non ci vuole un
teologo per capire che Gesù volle insegnare che la tradizione non può essere in
contraddizione alla Sua parola. Qualcuno potrebbe obbiettare che Gesù condannò
quella ebraica, e non ciò che ci fu trasmesso oralmente attraverso gli apostoli
o suoi successori. Questo dubbio è legittimo, tuttavia il Signore ha voluto
fugare ogni perplessità e ci ha lasciato la risposta nella Sua parola. Trascriverò
il passo della versione C.E.I., anche se il significato è il medesimo di quello
che riporta la Nuova Riveduta: 20 Pietro
allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello
che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato: «Signore,
chi è che ti tradisce?». 21 Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e
lui?». 22 Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che
importa a te? Tu seguimi». 23 Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel
discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe
morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?» (Giovanni
21:20 -23). Le parole di Gesù furono fraintese e tra i fratelli si sparse la
voce che Giovanni non sarebbe morto. L’apostolo, però, svelò l’equivoco e lo
riportò nel vangelo scritto da lui. Non fu San Pietro a interpretare ex
cathedra le frasi di Gesù, ma le parole scritte da Giovanni furono recepite nel
canone biblico, per farci capire che la dottrina biblica non necessita altro
ausilio se non le sue stesse parole. Non basta un verso per costruirci sopra
una dottrina se v’è un altro passo che chiarisce il concetto in discussione.
Certo, la Bibbia non è interamente facile da comprendere, ma ciò che riguarda
il nostro rapporto con Dio, e quindi salvezza, non richiede nessun ausilio
tramandato oralmente. Le scritture sono sufficienti, dobbiamo unicamente
praticare ciò che v’è scritto: Questo
libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo, giorno e
notte; abbi cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto; poiché
allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai (Giosuè 1:8). Non
dobbiamo nemmeno cadere nell’errata convinzione che la Bibbia fu scritta per
una determinata categoria di persone: Poiché
tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione,
affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle
Scritture, conserviamo la speranza (Romani 15:4). - Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a
correggere, a educare alla giustizia, (II Timoteo 3:16). Gli amici
cattolici devono avere l’umiltà (di cui ho parlato con riferimento alle
confessioni protestanti) d’ammettere che la riforma ha portato piena luce (in
virtù alla diffusione della Scrittura) in merito a dottrine bibliche le quali
sono state storpiate dalla tradizione. C’è bisogno di ravvedimento, non perché
voglia fare proselitismo in favore delle confessioni evangeliche, ma perché
determinate dottrine cattoliche, annullano la Parola per mezzo della
tradizione, così come predicato da Cristo agli Ebrei. Questo non è un sito
d’apologetica e, quindi, non mi soffermerò più di tanto a quanto sino ad ora
esposto con riferimento alla chiesa cattolica romana, tuttavia desidero citare
un verso che racchiude il principio della soteriologia: In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui
che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla
morte alla vita (Giovanni 5:24). Ascoltare, credere e ubbidire agli
insegnamenti di Cristo e non a un uomo: Non
confidate nei prìncipi, né in alcun figlio d'uomo, che non può salvare
(Salmo 146:3). L’uomo è fallace, la Parola è infallibile. Meditate amici miei!
Forse qualcuno potrebbe a questo punto pensare che soltanto
i cattolici hanno bisogno di ravvedimento, ma se non vi ho fatto stancare,
avrete notato che ho iniziato facendo autocritica. Spero abbiate compreso che tutti
hanno bisogno di ravvedimento. Il problema risiede, però, nel riconoscerlo.
Come affermato nell’introduzione, è difficile ammettere i propri errori e la
Scrittura ne riporta un esempio: Infatti
sapete che anche più tardi, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto,
sebbene la richiedesse con lacrime, perché non ci fu ravvedimento (Ebrei
12:17). Il personaggio cui fa riferimento questo verso è Esaù. Il figlio
d’Isacco perse la primogenitura per averla scambiata con leggerezza con un
piatto di lenticchie (Genesi 25:27-32). Lo scrittore agli Ebrei rivela che non
ci fu ravvedimento. La mancanza di ravvedimento impedisce l’azione dello Spirito
Santo, precludendo quell’esperienza che Gesù descrisse come nuova nascita
(Giovanni 3:1-4), ma anche quella del perdono dei propri peccati così coma avvenne
al figliol prodigo, il quale dovette innanzitutto riconoscere il proprio errore
(Luca 15:11-24). Un classico esempio biblico per comprendere che cosa s’intende
con il termine ravvedimento lo possiamo rinvenire nella storia di Zaccheo: Ma Zaccheo si fece avanti e disse al
Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato
qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo» (Luca 19:8). Il termine greco
con cui è stato tradotto il vocabolo “ravvedimento” indica una condizione, cioè
“trasformazione della mente”, che può apparire come qualcosa di puramente
intellettuale. Eppure l’esempio di Zaccheo, esattore delle tasse, mostra che un
genuino ravvedimento va oltre a quel che possiamo pensare. La dimostrazione
consiste nel fatto che Zaccheo non si limitò a restituire il mal tolto ma rese
alle proprie vittime il quadruplo. Ecco, il ravvedimento oltre che a condurre a
riconoscere il proprio errore si prodiga a porre rimedio al danno causato. Notiamo
anche che il tutto fu preceduto dalla confessione dei propri errori a Cristo e
in seguito a chi era stato frodato. In questi dettagli, non di poco valore,
possiamo riconoscere il percorso di una conversione genuina. Nell’introduzione
del post ho voluto porre l’accento sul fatto che è difficile riconoscere i
propri peccati. È doveroso aggiungere che innanzitutto dobbiamo riconoscerli
prendendone coscienza: conservando la
fede e una buona coscienza; alla quale alcuni hanno rinunciato, e così, hanno
fatto naufragio quanto alla fede (I Timoteo 1:19). Il primo campanello
d’allarme che udiamo nel nostro cuore quando c’è qualcosa che non va, è dato
dalla coscienza. Purtroppo l’uomo può diventare talmente insensibile che la
coscienza non è sufficiente per riconoscere il male in noi: Ho conservato la tua parola nel mio cuore per
non peccare contro di te (Salmo 119:11). É la Parola che mette in luce i
propri peccati. Nella società, e sopratutto tra molti credenti, vige
l’autogiustificazione. La Bibbia ci invita, però, all’opposto: Chi copre le sue colpe non prospererà, ma
chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia (Proverbi 28:13).
Scusate la mia insistenza, ma nelle chiese tira un’aria di perbenismo che
nasconde quei sentimenti di cui abbiamo parlato, e se l’ipocrita non è disposto
a riconoscere le proprie colpe, la sua rovina sarà grande: L'uomo da nulla, l'uomo iniquo, cammina con la falsità sulle labbra;
ammicca con gli occhi, parla con i piedi, fa segni con le dita; ha la
perversità nel cuore, trama del male in ogni tempo, semina discordie; perciò la
sua rovina verrà all'improvviso, in un attimo sarà distrutto, senza rimedio
(Proverbi 6:12-15). Quindi, l’invito è quello che San Paolo rivolse alla chiesa
di Colosse, cioè a persone credenti, particolarità che dovrebbe farci pensare: Ora invece deponete anche voi tutte queste
cose: ira, collera, malignità, calunnia; e non vi escano di bocca parole oscene
(Colossesi 3:8). Comprendiamo, auspico, che sia di vitale importanza seguire il
consiglio dato alla chiesa di Corinto: Esaminatevi
per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. (II Corinzi 13:5a). Non
posso terminare questo post senza aver fatto un appello al ravvedimento a
favore dei non credenti: I cieli
raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l'opera delle sue mani
(Salmo 19:1). Il creato annunzia la realtà del Creatore, non sarà la scienza a
rispondere al quesito delle nostre origini. Il male che esiste nel mondo è una
dimostrazione che l’uomo possiede un elemento (spirito) che ci differenzia
dalle bestie. Le bestie non distinguono il bene dal male, ma sono governate dal
proprio istinto, mentre l’uomo possiede delle capacità non rinvenibili nel
mondo animale, come per esempio l’arte. Queste poche e banali argomentazioni
depongono a favore di un disegno intelligente, naturalmente non sono le uniche.
Auspico che la Parola di Dio possa far nascere quel sentimento di ravvedimento
che vi dimostri quello che oggi negate e magari combattete. Finché non
applicherete il principio d’Archimede alla vostra vita spirituale, non
riuscirete a galleggiare. Finché vi dimenate nella vostra incredulità, nel mare
d’amore di Dio in cui siamo immersi, non riuscirete a vedere il braccio
dell’Eterno. Affinché galleggiate, dovete sottomettere la vostra incredulità: Or senza fede è impossibile piacergli;
poiché chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che ricompensa tutti
quelli che lo cercano (Ebrei 11:6). Nel momento in cui metterete in pratica
questo verso, vi ritroverete a galleggiare nel mare d’amore di Dio, e
scorgerete il braccio dell’Onnipotente, che vi farà sperimentare ciò che prima
negavate.
Il mono ha bisogno di ravvedimento, l’intera umanità ha bisogno di ravvedimento, i credenti ipocriti urgono di ravvedimento. Il ravvedimento è la cura per il mondo e il rimedio per sanare la società dal peccato. Meeting, convegni, stage, consigli o altre manifestazioni non riusciranno a sanare la nostra società dal male da cui è afflitta. Non c’è futuro senza ravvedimento. Lo profetizza l’ultimo libro della Scrittura: Il resto degli uomini che non furono uccisi da questi flagelli, non si ravvidero dalle opere delle loro mani; non cessarono di adorare i demòni e gli idoli d'oro, d'argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare. Non si ravvidero neppure dai loro omicidi, né dalle loro magie, né dalla loro fornicazione, né dai loro furti (Apocalisse 9:20-21). Spero che nessuno possa ritrovarsi in quel tempo in una condizione d’impenitenza, poiché è “terribile cadere nelle mani del Dio vivente” (Ebrei 10:31). Concludo, quindi, con l’invito del Battista: Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento (Matteo 3:8). Dio ci benedica!
Il mono ha bisogno di ravvedimento, l’intera umanità ha bisogno di ravvedimento, i credenti ipocriti urgono di ravvedimento. Il ravvedimento è la cura per il mondo e il rimedio per sanare la società dal peccato. Meeting, convegni, stage, consigli o altre manifestazioni non riusciranno a sanare la nostra società dal male da cui è afflitta. Non c’è futuro senza ravvedimento. Lo profetizza l’ultimo libro della Scrittura: Il resto degli uomini che non furono uccisi da questi flagelli, non si ravvidero dalle opere delle loro mani; non cessarono di adorare i demòni e gli idoli d'oro, d'argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare. Non si ravvidero neppure dai loro omicidi, né dalle loro magie, né dalla loro fornicazione, né dai loro furti (Apocalisse 9:20-21). Spero che nessuno possa ritrovarsi in quel tempo in una condizione d’impenitenza, poiché è “terribile cadere nelle mani del Dio vivente” (Ebrei 10:31). Concludo, quindi, con l’invito del Battista: Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento (Matteo 3:8). Dio ci benedica!
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